Democrazia, civiltà e diffusione del web: opportunità di crescita o nuova forma di totalitarismo?

George-Orwell-1984

George-Orwell-1984

Ho un’idea abbastanza precisa circa l’utilità delle apparecchiature che ci consentono a vario titolo di collegarci con il mondo, reale o virtuale, purchè queste ultime non vadano contro l’esigenza primaria dell’uomo: la capacità e la volontà di socializzare e, soprattutto, lo lascino libero e consapevole delle scelte fatte.

Circa 10.000 anni fa, alla fine dell’ultima glaciazione, l’umanità fece l’ennesimo “passo” in avanti verso la sua civilizzazione, ovvero comprese l’esigenza di organizzare la propria esistenza intorno ad un clan, prima, ed una tribù, poi. Specialisti nella fabbricazione di piccoli arnesi utili per la caccia, da nomadi divennero stanziali e da qui (siamo nell’attuale medio oriente)  tutto cominciò.

Come andarono le cose in seguito, lo sappiamo tutti: le grandi civiltà della Mesopotamia, dell’Antico Egitto, della Babilonia, della Grecia ellenica e, per finire con l’era antica, di Roma e del suo vasto impero, sono tutte lì a ricordarci l’importanza della socializzazione come prima attività dell’uomo, che sta alla base della stessa civiltà moderna.

L’uomo, da sempre, ha avuto il bisogno di comunicare con altri uomini, tribù, nazioni. Per questa esigenza, che possiamo considerare primaria, si è dato una lingua e una scrittura.

Tutto questo ha funzionato, la capacità di comunicare, nel corso dei secoli e dell’evoluzione della scienza, è progredita sino al punto in cui lo si è potuto fare a distanze sempre più grandi ed inimagginabili sino a poco prima.

Questa introduzione l’ho voluta fare per sgombrare il campo da ogni dubbio potesse nascere circa la mia propensione ad accettare l’evoluzione dei sistemi di comunicazione e la scienza più in generale, poichè quanto sto per scrivere, frutto delle mie osservazioni, potrebbe far pensare il contrario.

Non v’é dubbio, quindi, che la scienza e le sue scoperte tecnologiche ha avuto, nel tempo, ripercussioni positive sulla qualità della vita degli uomini, tuttavia osservo che vi sono dei limiti alla funzionalità degli oggetti di cui ci circondiamo nel quotidiano, quando questi ultimi viaggiano in direzione opposta al cammino sin’ora percorso dall’umanità. Voglio essere ancora più chiaro e, per quanto possibile, non sembrare un folle o un disadattato per quel che dirò: fino a che punto la diffusione della rete internet (il famoso world wide web) ha realmente contribuito alla crescita dell’umanità o aiuterà le comunità o le nazioni a migliorare la qualità della vita o, meglio, dei rapporti tra le diverse culture?

Ed è proprio su questo ultimo tema che vorrei porre l’accento. Il pericolo che io rilevo, ripeto rifacendomi a semplici ma inconfutabili osservazioni, che prendono spunto dalla vita quotidiana, é che la rete (il web) per mezzo della sua capacità di informare ed aggiornare in tempo reale (questa è la sua essenza) ciascuno dei suoi milioni di utenti sparsi in ogni angolo del globo, sta via via massificando e globalizzando la cultura, i costumi e, non da ultimo, il modo di comunicare.

Se ci si ferma un solo momento a riflettere sull’ultima osservazione, ci si può accorgere di quanto tutto ciò possa diventare, in un futuro non troppo lontano, devastante per tutte le altre lingue e culture: ovvero il pericolo della loro estinzione.

Ma non solo, la connettività, la grande e quasi inesauribile fonte di informazione ed aggiornamento, ha fatto sì che nascesse l’esigenza da parte dell’utenza di tenersi costantemente connessa alla rete. Un bisogno, questo, sapientemente veicolato nella vita quotidiana di milioni e milioni di utenti, divenuti (quasi inconsapevolmente) attori (ma mai veri protagonisti) di un mercato globale e globalizzante, che tutto dirige ed organizza. Così, dall’acquisto di ogni sorta di bene disponibile on-line, alle comunicazioni (la diffusione dei cellulari prima e degli smartphone poi) la rete web, gestita da pochi grandi gruppi, ha il vero controllo sul futuro degli uomini, ha la capacità di mutare i costumi della società.  Si consideri, ancora, la quantità di tempo che trascorriamo al cellulare, non solo per fare una semplice telefonata (diventata quasi obsoleta rispetto a tutti gli altri servizi disponibili) ma anche per chattare, inviare sms o mms, ricevere aggiornamenti dai vari notiziari o, più semplicemente, seguire una mappa capace di  condurci alla destinazione prescelta. Tutto questo è tracciabile. Tutto ciò che facciamo, scegliamo, acquistiamo, ascoltiamo o vediamo è tracciabile e diventa, a nostra insaputa, fonte inesauribile per dati che verranno elaborati attraverso algoritmi sempre più complessi, che daranno un quadro molto preciso alle multinazionali che in seguito  decideranno (per noi) cosa, come e quando dovremo consumare determinati prodotti, che gli utenti (globalizzati e massificati) consumeranno. Ma la cosa peggiore è che saremo ben contenti di farlo, convinti di essere stati i veri protagonisti delle nostre scelte.

Una considerazione finale, è d’obbligo quando ripenso alle persone che stanno sedute intorno ad un tavolo, convenute per mangiare una pizza e fare quattro chiacchiere, che invece passano il tempo a pigiare tasti dei loro smartphone per chattare con altre persone che, lontane e anch’esse in un’altra pizzeria lì convenute per una pizza e quattro chiacchiere, pigiano anch’esse i tasti dei loro smartphone, mentre nel frattempo quasi nessuno comunica con i presenti. Pensateci bene, quante volte avete assistito a questa stessa scena o, magari, voi stessi ne siete stati i protagonisti?

George Orwell, pseudonimo del romanziere, saggista, scrittore, oltreché opinionista politico, Arthur Blair famoso per la sua opera fantascientifica intitolata “Orwell 1984” già nel 1948 immaginava un sistema politico totalitario, basato sul controllo del pensiero degli uomini, spiati ed educati dal “Grande Fratello” che tutto poteva vedere e sentire. Un monito forse, il suo, per le generazioni future che, tenuto conto delle possibilità di osservazione e tracciamento oggi in uso, con il bene placido di tutti, governi in testa, oggi dovremmo tenerne maggiormente in conto.

L’evoluzione dei costumi e la civiltà degli uomini, passa attraverso il concetto di democrazia, che arriva da lontano, molto lontano nel tempo, quando nella Grecia ellenica del V secolo a.c. le decisioni per il buon governo del popolo venivano prese collegialmente nell’Agorà. Da allora, la civiltà ed il concetto stesso di democrazia hanno fatto molti passi in avanti, vediamo quindi di non cancellare dalla memoria collettiva il nostro passato, dal quale noi tutti discendiamo, nel bene come nel male, per guardare al futuro dell’umanità con la stessa passione e determinazione volte a progredire verso forme di governo e di pensiero che ci rendano, ieri come oggi e domani, sempre liberi fautori e protagonisti del nostro futuro.

Informazioni su Faber

Nato e cresciuto a Milano. Dopo un breve periodo trascorso in Sicilia nella provincia siracusana ha conseguito il diploma di ragioniere e perito commercialista, per poi lavorare per il Ministero della Difesa. Da un anno si è trasferito a Palermo dove si occupa di assistenza per il personale civile e militare, dipendente dal Ministero della Difesa. Per alcuni anni a Torino e in Piemonte, sempre per conto del Ministero, si è occupato del settore pubbliche relazioni. Nell'anno accademico 2009/2010 ha conseguito una laurea di primo livello in Scienze dell'Amministrazione presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Siena. Ha sempre nutrito un forte interesse per la storia europea in particolare, soprattutto sotto il profilo politico-economico e sociale.
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