Si può dare credito alle nuove minacce terroristiche di Al Qaida?

 

Ayman al-Zawahiri

Ayman al-Zawahiri

In questi giorni i giornali e i servizi televisivi, che vanno in onda su tutte le emittenti del pianeta, ci informano di possibili attentati terroristici, programmati da almeno una settimana, e che dovrebbero colpire preferibilmente basi, ambasciate o luoghi di interesse filo-occidentali. Tutto questo da quando il quotidiano The New York Times ha reso noto che i servizi segreti avrebbero intercettato una conversazione avvenuta tra il nuovo capo di Al Qaida, Ayman al-Zawahiri e Naser al-Wuhayshi, numero uno della diramazione regionale del movimento jihadista nella penisola Arabica, il cui quartier generale è in territorio yemenita, nel corso della quale Zawahiri avrebbe ordinato l’esecuzione di un attentato entro il 4 agosto.

Tuttavia, per il network televisivo CNN il Capo di Al Qaida si sarebbe limitato a ordinare di “fare qualcosa”, espressione generica quanto sibillina, capace comunque di mettere in allarme le autorità americane e i loro alleati più stretti. Per questa semplice ragione le precauzioni che immediatamente sono divenute operative, allo scopo di abbassare la soglia di rischio per gli operatori americani, sono state quelle di invitare i cittadini americani e il personale governativo non essenziale a lasciare lo Yemen, in attesa di nuove disposizioni. Anche altri paesi, come Francia e Gran Bretagna, hanno chiuso le loro ambasciate, almeno sino a sabato 10 agosto.

Nel frattempo, il titolare della Farnesina, Emma Bonino, ha assunto una posizione più moderata, disponendo che venisse chiusa la sola sede dello Yemen (salvo un servizio di risposta telefonica), poiché dalle informazioni raccolte dai nostri servizi non ci sarebbero nel mirino dei terroristi città italiane. Tuttavia, il ministro Bonino si riserva di aggiornare il profilo di intervento e delle contromisure da adottare, in relazione alle nuove informazioni che via via le giungeranno nel corso delle prossime ore.  

E’ necessario riflettere su alcuni aspetti delle notizie che stanno mettendo in allarme il mondo intero e i servizi di “intelligence” dei paesi alleati agli USA. Ma prima di tutto, si deve fare un breve excursus tra quelle che sono le regole che dominano da sempre la cultura e la fede islamica. L’Islam e i 5 pilastri della fede. Arkàn al-Islam è l’espressione che si usa per indicare i cinque precetti fondamentali che ogni musulmano devoto, uomo o donna, sulla base della Shari’a (le legge coranica) deve osservare per compiacere Dio (Allah) che li ha ordinati, per non essere giudicato Kafir (empio e non credente). Tali obblighi sono: la testimonianza, le preghiere rituali, l’elemosina canonica, il digiuno durante il mese di Ramadan e, infine, il pellegrinaggio a La Mecca, almeno una volta nella vita. Una frangia minore di musulmani, appartenenti alla setta Kharigita, sostiene che esiste un sesto pilastro dell’Islam, il Jihad (sforzo interiore), la cui obbligatorietà è ancora oggetto di confronto tra dotti religiosi e opinione pubblica. Durante il Ramadan, in particolare tra i molti precetti da osservare, esiste il divieto assoluto di “abbandonarsi all’ira”.

Al Qaida (o Al Qaeda nella pronuncia italianizzata), il cui significato è “la base”, è nata come movimento paramilitare e terroristico, sostenitore del fondamentalismo islamico, impegnato nell’esecuzione di attentati terroristici sia nei confronti dei regimi islamici, ritenuti filo-occidentali, sia del mondo occidentale. Il movimento è nato intorno alla fine della guerra Russo-Afghana (1989), con base logistica a Peshawar (Pakistan), dove venivano registrati i volontari arabi, che successivamente sarebbero stati inviati a combattere in Afghanistan contro i soldati sovietici. Il suo capo indiscusso, Osama bin Laden, apparteneva ad una delle famiglie più ricche e potenti dell’Arabia Saudita, sino a che gli americani, a seguito dell’attentato dell’11 settembre 2001, non misero fine alla sua esistenza il 2 maggio 2011, con una operazione condotta dai Navy Seal.

Osama bin Laden e l’allora numero due del movimento, al Zawahiri, sognavano di creare un nuovo califfato islamico, frenando il fenomeno di occidentalizzazione della cultura dei paesi musulmani. Inoltre, erano convinti che esistesse un complotto ebraico-cristiano con l’obiettivo di distruggere l’Islam. La sua organizzazione era centralizzata e verticistica nelle decisioni, e decentralizzata nelle esecuzioni delle missioni da attuarsi in ogni angolo del pianeta, ovunque vi fosse un nemico (vero o presunto) dell’Islam.

Tuttavia, nessuna guerra può andare avanti all’infinito, nessun atto terroristico ha valore se non sorretto da uno scopo o un obiettivo, quindi Al Qaida e i suoi capi e sostenitori, hanno un obiettivo da raggiungere: la condivisione delle loro idee, la ricerca di appoggi politici e sostegni economici. Questo non solo nei Paesi che da sempre hanno sostenuto e sostengono il Jihad islamico, ma soprattutto nel ricercare l’alleanza dell’Islam moderato, che rappresenta la maggior parte del mondo islamico, che ancora oggi non condivide e, probabilmente, non ne comprende le ragioni. Per queste ragioni non è credibile un attentato terroristico che venga realizzato nel periodo sacro per i musulmani del Ramadan, poiché all’indomani dell’azione terroristica la maggior parte del paesi musulmani moderati disconoscerebbe l’azione, allontanandosi viepiù da progetti di Al Qaida e le sue istanze.

Ayman al Zawahiri e i suoi vice, sanno bene che la loro lotta, la loro guerra santa contro l’occidente, non potrebbe sopravvivere, senza l’appoggio esterno dei paesi musulmani moderati e, in prospettiva, di quella politica cosiddetta delle “Primavere arabe”, che sta prepotentemente prendendo piede un po’ ovunque nel medio oriente, come nel maghreb arabo (Africa nord-occidentale). Una nuova presa di coscienza da parte del mondo musulmano composto in maggioranza da giovani studenti e lavoratori, che guardano all’occidente con spirito aperto e possibilista e, nel contempo, desiderano mantenere i loro forti legami religiosi e culturali con l’Islam.

Il Capo di Al Qaida, come ogni politico, conosce molto bene l’arte dell’informazione, quindi tiene ben presenta l’esigenza primaria di ricordare al mondo islamico che la Jihad non è mai finita, e a quello occidentale che ad ogni suo “comando” ci sono decine di “pasdaran” (i guardiani della rivoluzione) pronti a immolarsi, pur di combattere i nemici della “vera fede”. In questi giorni tutti i riflettori sono accesi su di lui e sul movimento che dirige, potendo così osservare le reazioni dei governi occidentali, predisponendo i piani politici e militari per la sua prossima mossa, non necessariamente terroristica.

Informazioni su Faber

Nato e cresciuto a Milano. Dopo un breve periodo trascorso in Sicilia nella provincia siracusana ha conseguito il diploma di ragioniere e perito commercialista, per poi lavorare per il Ministero della Difesa. Da un anno si è trasferito a Palermo dove si occupa di assistenza per il personale civile e militare, dipendente dal Ministero della Difesa. Per alcuni anni a Torino e in Piemonte, sempre per conto del Ministero, si è occupato del settore pubbliche relazioni. Nell'anno accademico 2009/2010 ha conseguito una laurea di primo livello in Scienze dell'Amministrazione presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Siena. Ha sempre nutrito un forte interesse per la storia europea in particolare, soprattutto sotto il profilo politico-economico e sociale.
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